Ogni tanto ci passavo davanti, la guardavo distrattamente e proseguivo. La mia scuola, il luogo fonte di numerose rotture e tantissima noia, con alcuni professori che non sono stati in grado di farmi appassionare alle loro materie o addirittura con i loro modi di fare mi hanno insegnato a odiarle. In parte la colpa è anche mia che me ne fregavo altamente. Il Prof. d’inglese era molto forte e preparato. Durante le sue lezioni si parlava solo in inglese. Non è stato capito da tanti e alcuni lo prendevano in giro, ma alla fine quando uscivi dalle medie l’inglese lo conoscevi. Il suo lavoro lo sapeva fare e anche bene. Grande mitico Luciano.

Ritornando alla scuola quante volte ho desiderato essere in qualsiasi altro posto tranne che in quell’edificio.
Alla fine del 2008 sono entrato nel cortile e mi sono fermato a guardare quel fabbricato tante volte stramaledetto. Per la prima volta ho provato tristezza nel vederlo conciato così male. Complice una giornata di un freddo dicembre, che rendeva l’intera struttura ancora più tetra e desolata.

Il tempo che trascorre veloce, il tempo che non perdona e non risparmia niente e nessuno. Il degrado del nostro paese sotto gli occhi di tutti, in continuo aumento ma… non c’è nessun problema ti dicono, stiamo lavorando per migliorare le cose! Se ogni giorno è sempre peggio come facciamo a credere nel futuro. (Nota bene, scritto nel dicembre del 2008, qualche mese dopo l’inizio della crisi. Non mi è sembrato proprio il caso di modificarlo, non che adesso siamo messi meglio!).
Se trovate in giro una delle casse con gli occhiali che ha trovato John Nada nel film “Essi vivono” mettetela da parte che verrà utile.
Le grandi vetrate sono distrutte, scritte con bombolette ovunque, completamente abbandonato, terra di nessuno, palestra di atti vandalici ripetuti senza che nessuno intervenga. Sembra di trovarsi davanti a un edificio della città abbandonata di Pripyat vicino alla centrale nucleare di Chernobyl.
Nonostante l’avversione per la sua funzione, mi affascina ancora oggi la struttura progettata genialmente nel 1959 dall’Architetto Pietro Campora. Poco funzionale per gli spazi interni, come hanno fatto notare in tanti, ma a me è sempre piaciuta, mi sembrava qualcosa di futuristico, qualcosa che si staccava dalle solite costruzioni urbane dei paesi della Pianura Padana.

Si dice che prima di morire si rivivano gli episodi della propria vita, vedendoli passare davanti come i fotogrammi di un film. Entro nel grande salone attraverso la vetrata distrutta. Vengo bombardato dai ricordi. È come attraversare lo Stargate, non vedi il Giacobbo, ma ti ritrovi nel passato trenta anni prima.
Questo era il luogo della ricreazione, ci si riuniva in gruppetti a parlare di cose futili, ma estremamente importanti per sopravvivere allo strazio scolastico.
Il primo giorno di lezione una ressa incredibile, alunni, genitori, insegnanti e l’immancabile appello generale per formare le classi. Prima le ragazze e poi noi, quando hanno chiamato il mio nome, mi sono andato a mettere vicino al gruppo delle mie compagne di scuola, vicino alla ragazza che mi piaceva. Lei si è girata e mi ha dato una carezza sulla guancia. In quel momento sono stato al massimo della felicità. Era l’inizio degli anni 80 erano altri tempi. Purtroppo non è successo niente di più. Non sono mai riuscito a portarla fuori. C’era sempre qualche problema, poi ha preferito un tipo molto diverso da me e lo ha sposato molto tempo dopo. Comunque sono contento che si sia fatta una famiglia e stia bene.

Oggi nell’atrio davanti alla porta chiusa e alle vetrate demolite, c’è solamente una pozza d’acqua su pavimento, assieme a varie schifezze indefinite. Ci sono dei mobili e appoggiati al muro si trovano dei cartelli stradali messi dal Comune.

Mi ero dimenticato del disegno fatto con le piastrelle. Mi ha sempre ricordato i messaggi allegati alle sonde spaziali. Quando ero piccolo mi affascinava tanto. Da buon appassionato di fantascienza lo interpretavo come qualcosa di spaziale.

Oltre i vetri si vede il porticato dove si attendeva, come il condannato attende la salita al patibolo, il suono della campanella. Il giorno d’inizio degli esami di terza media un mio compagno di scuola si è esibito nella materializzazione di un ectoplasma. Ha starnutito in modo così poderoso, facendo comparire dal naso una candela di muco lunga almeno cinquanta centimetri. L’episodio che ci aveva fatto tanto divertire l’avevo interpretato come un buon auspicio per la riuscita delle prove. Sono stato promosso!
Alla fine con o senza l’apparizione della “candela miracolosa”, se non si studia, non si arriva da nessuna parte.
A meno che non si bruci la scuola e con essa i registri, così c’è la promozione d’ufficio per tutti. Non è una battuta è successo realmente al mio paese.
Questo era per noi l’ingresso del regno dei morti, il portale del non ritorno, una volta varcata la soglia il fato crudele si accaniva sugli sventurati, con lo stesso effetto che si otteneva nel film “Hellraiser” giocando con il cubo. Adesso anche se il portone è chiuso si può accedere attraverso i finestroni dove un tempo c’erano i vetri.
Il Comune ha installato delle reti supplementari per evitare l’intrusione non autorizzata di terze persone, ma da quello che si vede all’interno e sui muri esterni, questa misura è stata efficace come spegnere un incendio con un bicchiere d’acqua.

Più avanti tra il muro della scuola e il muretto esterno c’era quello che si poteva definire come “Il corridoio delle anime perdute”, già ai tempi terra di nessuno. Esattamente come “Nocturn Alley” di Harry Potter. Chi voleva esercitare una qualche attività truffaldina, si trovava in questo luogo a “confabulare” con i suoi alleati. La terra dei bulletti delle classi superiori, spazio “off limits” per quelli come noi, entrando rischiavi uno “shampoo”.

Ai nostri tempi una delle sigle di cartoni animati aveva queste parole: “Tarzan nella giungla, lotta col coltello, Batman nella notte nero pipistrello….”
Nel cortiletto durante l’intervallo, Paolo l’aveva adattata in modo erotico/porno con i nomi di due compagne e la cantava saltellando allegramente, nonostante gli urli di una delle due. Prima è arrivato il bidello, poi un professore e infine il preside. È successo un casino.
Non che prima fosse tenuto bene, ma adesso con le piante e le erbacce è diventato una vera schifezza. Un albero è caduto e ostruisce parzialmente il poco spazio che c’era.

La scalinata portava al piano delle aule, primo piano le prime, al secondo le seconde e al successivo le terze. Per terra trovo qualcosa di organico e ci è cresciuta sopra una grossa palla di muffa di color bianco-panna, meglio non indagare.
Salgo le scale con una sensazione di ancestrale timore. Ho detto molte volte che non ho paura degli alieni e dell’improbabile possibilità di essere rapito o utilizzato come cavia per i loro esperimenti. I miei timori sono di altra natura. Compresa quella di tante leggi che sembrano fatte apposta per favorire i delinquenti e mortificare di continuo le vittime di ogni reato.

All’inizio del corridoio, sulla sinistra nascosto dal muro, si trovava il banco del bidello. Luogo di una furibonda lite tra me e il Davide. La motivazione? Era tanto importante che non me la ricordo più. È stato necessario il suo intervento per separarci.

Salendo le scalette si entrava nella mia classe. Un bugigattolo che assomigliava più a un loculo multiplo che a un’aula scolastica. Appena entrati, sulla destra, si trovava la cattedra e ai lati dei muri due file di doppi banchi.

In fondo al centro, era sistemato un armadio di metallo contenente dei libri, rigorosamente chiuso a chiave, che si apriva pochissime volte l’anno. Una diffusione culturale da paura.
Mi ricordo la scenetta che avevamo messo in opera in prima media. Io e altri due eravamo andati a rubare le mele nel campo del contadino. Poi eravamo stati scoperti con le mani nel sacco dal nostro amico che impersonava l’agricoltore. La scena topica era il momento della scoperta, quando parlando in siciliano, estraeva una mitraglietta giocattolo e ci sparava mentre scappavamo. A distanza di mesi ogni tanto trovavamo ancora sul pavimento dei proiettili di plastica.

Nel corridoio si aprivano varie aule, durante l’intervallo ho assistito a una scena diventata epica. Il mitico Professor Ferrari esasperato dal solito Paolo si è esibito, come ultima risorsa, in uno spettacolare doppio calcio nel sedere andato a segno. Il destinatario ha preso il tutto ridacchiando senza lamentarsi.
Erano proprio altri tempi, adesso i poverini devono essere trattati con i guanti di velluto, guai a toccarli, guai a rimproverarli altrimenti si offendono.
Com’è successo a un mio amico professore in una scuola di Vigevano, un troglodita ha avuto un bel coraggio a dirgli “ti aspetto fuori”. E non ha potuto fare niente, visto che questi umanoidi (protetti dalle leggi, ma quali leggi proteggono i professori?), hanno talvolta dei genitori più allucinati di loro, che reclamano perché il loro figliuolo è immacolato e non lo capisce nessuno. Beh, da un pero non nascono certo le mele.

Nella prima aula del corridoio ci studiava o per meglio dire disegnava Siviero. Aveva un banco interamente ricoperto di disegnini di pistole, coltelli, bombe a mano, asce e ogni genere di faccine di brutti ceffi. Era un banco storico.

Adesso si trova una colorata pittura murale e per terra qualcuno ha fatto i suoi bisogni.

Nella stessa aula si è staccato un neon, penzola dal soffitto attaccato ai cavi elettrici come un impiccato alla sua corda.

I banchi non ci sono più, nell’aula c’è solo l’intonaco del soffitto caduto a terra. Sembra l’ultimo capitolo della diffusione culturale in Italia. Macerie!

Salendo al piano successivo si arriva nell’aula, dove studiavamo (che battutona!) in seconda media.

Una volta la Prof. di lettere, durante l’arrivo degli studenti universitari che “venivano a liberarci”, non ci voleva lasciar uscire e ha chiuso la porta con la chiave. Ci siamo alzati tutti quando il suono dei fischietti si era fatto più intenso, ma lei era determinata a continuare la lezione. Alla fine ha dovuto desistere, quando uno studente universitario ha aperto la porta con un calcio, scassando la serratura. Mi ricordo ancora la sua faccia, un misto tra l’incredula e la spaventata.

La nostra aula confinava con la segreteria, che conduceva direttamente all’ufficio del preside e ogni due per tre avevamo delle simpaticissime visite. Quando non sapeva cosa fare o sentiva dei tafferugli, era sempre da noi.

Come preside era una brava persona, anche se era odiato da molti solo per il ruolo che ricopriva. Sul muro vicino alla sua porta c’è un piccolo disegno di un omino buffo, magari c’è qualcun altro che si è ricordato di lui.

Il piccolo bagno vicino alla nostra aula ha subito la stessa sorte dell’edificio, i sanitari sono stati completamente fatti a pezzi.

Scendo nel piano interrato dove un tempo si trovavano l’aula di musica e il laboratorio di chimica che faceva anche da quello di anatomia e fisica. Tanti oggetti fantastici chiusi a chiave, che non si potevano mai ne vedere, ne toccare. Si poteva anche farne a meno dato il largo utilizzo. Immancabile dietro alla porta il manichino/scheletro con le ossa di plastica, che si utilizzava esclusivamente per stringergli la mano e per fare delle bischerate. Chissà che fine avrà fatto?

Le aule sono vuote, alcuni mobili sono rovesciati contro le pareti e sul pavimento si trova una cartellina gialla che raggruppa dei compiti in classe di vecchia data.
La scala prosegue ancora verso il basso per mezza rampa finendo contro il muro. Accatastati contro si trovano molte scatole coperte di uno spesso strato di polvere.
Il finestrone che porta un po’ di luce ha i vetri rotti (senti che novità), le piante sono già entrate e in breve tempo prenderanno possesso del piano.

Questa era la mia esplorazione nel dicembre del 2008. Nonostante la mia evidente visione pessimista, qualche volta le cose possono anche cambiare e non necessariamente in peggio. L’edificio è stato recuperato interamente qualche anno fa e contiene la Biblioteca, il Circolo Fotografico, la Scuola di Danza, la Banda Musicale del paese e una sala per conferenze. L’ho lasciata per ultima, ma non certo l’ultima per valore la sede dell’Unitre.
L’Università delle Tre Età, dove da qualche anno faccio volontariato come docente, presentando le ricerche critiche nel campo dell’Archeologia Misteriosa. Odiavo tanto i Professori che insegnavano dentro a quest’edificio e quasi trent’anni dopo cerco di fare le stesse cose che facevano loro. Cercare di diffondere un po’ di cultura in un paese che ne ha tanto bisogno.